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MODENA PALAZZO COMUNALE

Il grande fascino di questa Stanza delle meraviglie, fino ad oggi nascosta nel cuore più antico del Palazzo comunale, consiste proprio nel suo denunciato massimo disordine storico, che si oppone ad ogni istintiva ipotesi di riportarla ad unità di spazio e d'immagine. L'unica via praticabile per farlo sarebbe del resto quella, rinunciataria, di annullarne, con un nuovo pavimento ed una nuova stesura di intonaco "civile" ed una mano finale di bianco, tutto quello che invece oggi, nel suo status archeologico di spellato anatomico ci viene sussurrando sulla storia vissuta del Palazzo. L'eccesso di situazioni e il frastuono di notizie che ci propone sùbito sgomenta cozzando con la nostra istintiva richiesta di una soluzione finale, a favore di una facies "esteticamente" composta ed unitaria. E, a prima vista, ci disorienta e ci turba la prorompente esibizione "al sangue" di questi muri lacerati che, come risultato impietoso ed imprevisto di una campagna di interventi e di ricerche, momentaneamente sospesa (da almeno venti anni: 1984), ci offrono la "sconveniente" lettura di un informe ammasso di muscoli, nervi ed ossa in libertà. L'accumulazione di informazioni sembra piuttosto confondere, anzichè accrescere (presentandosi all'analista come un autentico valore storico aggiunto), il valore di testimonianza diretta scritta in fronte a questi muri. Sembra che la qualità si sciolga nella quantità, abbassando oltre ogni limite gradito o accettabile la soglia di risoluzione dei dati, fino ad un piano di scontata, banale inopportunità.
Queste ingloriose recenti tamponature in mattoni e forati esibiscono una (ultima) fase di tale precarietà e provvisorietà da "inquinare" e visibilmente confondere le persistenti presenze auliche degli antichi costruttori (i paramenti in grandi conci di pietra, gli arconi, i resti inglobati di colonne medioevali). Eppure quello attuale è un eccitante caleidoscopio di lucenti frammenti continuamente scomposti e ricomposti dall'estenuante processo di continua rielaborazione del testo, che ci consente di entrare in contatto diretto col vissuto del cantiere storico e di leggerne, nella disorientante texture attuale dei componenti ancora compresenti, quella molteplicità di fasi, mani e gesti (di una pratica sia eroica che di basso profilo, d'eccellenza o di precarietà) che ci restituisce in diretta la fatica del costruire, i sogni ed il sudore di un tormentato cantiere pubblico.
Di solito accade che tutto ciò che ha evidente carattere di "superfetazione" venga prima o poi rimosso. Ma, quando, in tutti i casi del genere, si interviene in modo così distratto e drasticamente sottrattivo, accade che tutti coloro che prima o poi vengono in contatto con quel documento, vengano irreversibilmente privati (e prima ancora di potervisi relazionare) di quella singolare catena di informazioni (in copia unica) che costituisce la scheda tecnica complessiva, la "carta d'identità" personale (non solo tecnica, ma culturale, sociale, economica e in una parola civile) del grande patrimonio collettivo di pietra della città. E questa, a tutti gli effetti, si configura come una de-privazione bella e buona di un diritto del cives che, di solito, si compie ad opera dei soliti ignoti nella più generale disattenzione generale. E' una pratica questa che considerando la fabbrica, nei suoi componenti allografi, solo come mero materiale di consumo e di scontata riproducibilità, incoraggia una pericolosa tendenza disaffettiva nei riguardi del manoscritto: il vuoto e l'intercambiabilità di materia produce il vuoto di memoria. La responsabilità dell'operatore di cantiere è altissima quando scambia con leggerezza un palinsesto per un luogo di consumo.
I biologi hanno sviluppato la teoria dell'attaccamento al contesto in cui viviamo come necessario antidoto al crescente processo di alienazione urbana. Mantenere quel fondamentale cordone ombelicale che ci lega all'ambiente, coltivare un profondo legame biologico con le permanenze, confuse ma tangibili. Interrogarle come matrici residuali del serbatoio comune di dati da condividere, curarne la sostanziale sopravvivenza materiale tra noi, non è solo la migliore alternativa ad evitarne la perdita e l'oblio, ma è forse uno dei primi fondamentali quanto dimenticati doveri del nostro consapevole modo vivere insieme, qui ed ora.
Perchè queste pietre segnate dal tempo e dagli uomini costituiscono le nostre più vitali radici e ci vengono incontro, nella loro apparente accumulazione "casuale", cariche di una storia che è anche nostra e ci sono necessarie, direbbero gli psicanalisti, come il Padre e la Madre. Proprio perchè "nulla dura per sempre" la loro ancòra persistente, per quanto affievolita, presenza quotidiana ci è di viatico e di ammonimento: essa ci aiuta a resistere alla morte e, soprattutto, a trasmettere a chi viene dopo di noi il testimone della precarietà (e dunque della preziosità e unicità) della nostra stessa (oggi altrettanto affievolita) vita affettiva di gruppo. In questa Stanza ricca di contrasti, di tensioni e di conflitti che non si vogliono artificiosamente pacificare, all'insegna del massimo rispetto e dell'ascolto profondo si consuma una nuova alleanza consapevole tra i cittadini e le cose che hanno in comune. Per mezzo di queste ultime si riaccende un vitale contatto di reciproco sostegno cognitivo ed affettivo.
Oggi il metodo Harris ci viene in aiuto per leggere le unità stratigrafiche e per riordinare cronologicamernte l'archivio dei depositi e degli strati. Le più avanzate e sofisticate strategie ed apparecchiature diagnostiche ci soccorrono per approfondirne la conoscenza diretta. Le tecniche di conservazione per individuarne le patologie, combatterne le cause e così prolungarne ancora a lungo la parlante presenza tra noi, perenni fanciullini che riescono ancora ad incantarsi (e a commuoversi) davanti all'affabulante com-presenza di tutti questi lucenti frammenti della nostra storia e delle nostre condivise radici.
E' con tale spirito che ci siamo accostati a questa Stanza cercando di riattivarne ed esaltarne, con il transito delle persone, il nuovo ruolo di Porta dell'antico Palazzo. Una porta che ne costituisce la vetrina, lo scrigno prezioso delle nostre radici laiche e ne racconta visivamente la lunga e controversa storia. Ne è scaturito uno stimolante esperimento di didattica attiva. Lungo il percorso narrativo di un'agile, zig-zagante passerella sono esibiti, a confronto diretto con le muraglie, dei trasparenti pannelli di perspex che restituiscono, per ogni settore di parete, i diagrammi stratigrafici delle successioni delle fasi, a cominciare da quella più antica fino all'ultima (le tracce delle botteghe smantellate soli pochi anni fa). Sotto, l'aereo camminamento che si snoda libero a mezz'aria e che illumina il soprassuolo archeologico, in attesa di una nuova campagna di scavi mirati, da effettuare a cantiere aperto ai visitatori ed ai frequentatori quotidiani del Palazzo. Sopra, un nuovo eppur familiare grande Cielo figurato suggella l'evento didattico.

 

 

DESCRIZIONE

SCHEDA TECNICA

PROGETTO
(In formato .pdf, ~ 540 Kb)

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Modena

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