Lara Vinca Masini
Gruppo editoriale L'Espresso, Roma, 2003
Giunti, Firenze, 2003
Marco Dezzi Bardeschi (Firenze, 1934)
Del 1960-65 è la sua prima Casa di Poggio Gherardo a Firenze, già in
netto contrasto con quelli che definisce «gli epigoni del Movimento
Moderno», ispirata al concetto di "memoria storica", espressa, negli
stessi anni, nei primi lavori di Paolo Portoghesi (Casa Baldi 1).
Del '65 è, nel San Francesco di Arezzo, la realizzazione dell'Altare
maggiore secondo i precetti della nuova liturgia; ne derivarono attacchi
pretestuosi e la distruzione di uno dei lavori di intervento tra i più interessanti
nel delicato rapporto tra antico e moderno.
Tra gli altri lavori seguiva, di notevole interesse, il Complesso abitativo
di piazza San Jacopino a Firenze (1970-74), col quale tentava «di
scardinare gli schemi compositivi tradizionali» proponendo una dinamica
quasi espressionista delle forme e l'uso di colori insoliti, che conferiscono
un carattere particolarmente stimolante alla piazza - va notato
che, nella zona, gli abitanti considerano questo lavoro «quello dell'architetto
giapponese»!
Il lavoro di Dezzi Bardeschi si svolge, tutto, tra il restauro conservativo
e l'intervento diretto, personale, «nei mosaici, negli arredi, in tutte le
opere di completamento» in cui «si ritrovano cosmologie e bestiari
fantastici, sovrastrutture inequivocabilmente moderne ma cariche di
storia»; e vi si innestano riferimenti all'alchimia, al mito, secondo una
"memoria" che trova le sue matrici nel Manierismo fiorentino.
Tra gli interventi in complessi monumentali e i diversi progetti, la
Biblioteca Classense di Ravenna (1975-88), l'inserto, esasperato, a
Certaldo Alto (1972-81), la proposta di recupero di Porto San Giorgio
(1988-90), di Novellara (1987-89), i progetti per il Museo d'Arte contemporanea
di Firenze (1981-89), per la piazza di Aosta (1988-89), per
l'area della Manifattura Tabacchi a Bologna (1984), per il Parco di
Pratolino (1982-88), per la Nuova sala consiliare del comune di
Campi (Firenze, 1985-93), per il Giardino dell'Orticultura a Firenze
(1983-88; un intervento zoomorfico, stimolante e divertente, alla
Gaudì). E certo fa meraviglia, a proposito di quest'ultimo (e non è
un'accusa da riferire all'architetto), che non si sia provveduto, da parte
dell'amministrazione cittadina al restauro della splendida serra di
Giacomo Roster del 1879, uno dei pochissimi esempi italiani del tipo,
che sta deteriorandosi inesorabilmente.
In tutti questi lavori si manifesta «la ricerca di una narratività complessa,
che recupera dati e immagini dal passato e dalla memoria dei luoghi,
e li riassume in proposte sempre inquietanti, problematiche, dense
di rimandi ed associazioni» (in "Marco Dezzi Bardeschi, Cinque piccole
lune", Firenze, 1994)
Dal '76 occupa la cattedra di Restauro architettonico presso il
Politecnico di Milano.